MATTUTINO Amo la famiglia
di Gianfranco Ravasi
Solo all'interno della famiglia l'uomo sente di possedere un valore assoluto, di essere insostituibile. Per questo motivo la famiglia è modello e cellula costitutiva della fratellanza universale e della società umana.
Il celebre romanziere russo Lev N. Tolstoj scriveva: «Se il fine del matrimonio è la famiglia, allora l'uomo che desidera avere più donne oppure la donna che ricerca più uomini, godranno sì di maggiori piaceri, ma non avranno una famiglia». Forse alcuni lettori ricorderanno che nel suo famoso romanzo Guerra e pace un soldato depravato e dissoluto, quando scopre la serenità e l'amore di un focolare domestico, esclama: «Amo la vostra famiglia!». È ugualmente un russo, il filosofo Vladimir S. Solov'ëv (1853-1900), anche l'autore della frase che oggi abbiamo proposto, in occasione della festa della Sacra Famiglia. Vorremmo solo raccogliere due spunti sia da Tolstoj sia da Solov'ëv.
Innanzitutto la famiglia è "il modello" e "la cellula" della società. Lo è perché è il legame radicale tra persone diverse che si uniscono nell'esistere e nel progettare, nella fratellanza e nel reciproco sostegno e rispetto. Lo è nel bene e, purtroppo, nel male: la famiglia che si sgretola quando prevale l'egoismo o l'orgoglio dell'uno sull'altro incarna la crisi di una società che si disperde in interessi privati, in squilibri economici, in perdita di valori condivisi. La famiglia, poi, è certamente fondata anche sulla relazione di coppia e quindi sull'essere "una carne sola", come dice la Genesi. Tuttavia il sesso non può costituire il collante unico di un matrimonio, il piacere fine a se stesso non riesce a generare un'armonia delle anime e delle vite. È l'amore il vero anello nuziale che unisce intimamente corpi e cuori e che ha nella sua fecondità non solo la capacità di vincere la morte ma anche di continuare la creazione divina. Chi è solo per sorte o per scelta dovrebbe trovare nella vera famiglia il segno più alto dell'amore umano.
Gianfranco Ravasi dall'edizione elettronica di Avvenire del 28 dicembre 2003
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