Giovani donne: desiderio di maternità «Mi cambierà la vita ma voglio tanti figli»
di Sara Melchiori
Alzarsi dal letto alle 2 di notte perché Riccardo ha mal di pancia e poi ancora alle 4 e alle 5 perché le gemelline piangono? Scappare dall'ufficio, per l'ennesima volta all'ennesima chiamata dall'asilo, perché "sua figlia, signora, ha 39 di febbre"?
Rinunciare all'intrigante immagine di donna in carriera, alle cene con gli amici, ai week-end spensierati, alle vacanze senza limiti di spesa? Detta così, tutta d'una fiato, più che una rosea prospettiva la situazione si presenta piuttosto... impegnativa. Se non addirittura un sacrificio. Facilmente rimediabile comunque: se mi sposo niente figli, anzi no, al massimo uno, giusto per soddisfare la "più che legittima" voglia di maternità e non rinunciare all'esperienza più bella della vita di una donna.
Un quadretto perfetto, la famiglia felice del Duemila, il puzzle di una vita ben studiata, completato con quell'ultimo e unico (come il figlio degli anni ‘90) tassello per essere con tutte le carte in regola.
Mi dispiace, non ci sto! Vuoi mettere una famiglia numerosa, con tanti marmocchi che corrono per la casa, pannolini, vestitini, feste di compleanno... «Sì, sogni la famiglia felice da pubblicità. Dici così perché non sei sposata, non hai una marito da accontentare, una casa da seguire e soprattutto non hai la "iena" (lui, il figlio unico), altrimenti rimpiangeresti il tuo bel lavoro, le tue ore libere, la tua libertà da trentenne nel pieno delle sue energie». Touché! Si può forse rispondere con sogni e desideri da favole a lieto fine all'amica che l'esperienza diretta la vive tutti i giorni e magari anche il pensiero del secondo figlio ha vagamente sfiorato la mente sua e del marito, ma poi a "conti" fatti, perché anche di denaro si tratta, è meglio fermarsi a uno solo? Perché no, anche se a darmi contro arriva l'autorevole indagine presentata ieri: le italiane vorrebbero tanti figli, ma nella realtà difficilmente sono disposte a cambiare stile di vita.
Ebbene sì, non sono sposata (e non per scelta), non ho figli e, in linea con i trentenni mammoni del Bel paese vivo ancora in casa, ho un lavoro che mi piace e soddisfa il mio narcisismo, e soprattutto non metto in dubbio la difficoltà oggettiva di costruire, al giorno d'oggi, una famiglia numerosa. Ci mancherebbe! È già faticoso far tornare i conti a fine mese se vivi da solo con uno stipendio medio.
Eppure, mi domando, mamma e papà in tempi non certo rosei di possibilità hanno costruito casa, mandato a scuola e laureato due figli, pur lavorando entrambi. Certo, niente baby-sitter da pagare, c'erano i nonni che aiutavano; ho vestito per anni panni e scarpe di mio fratello maggiore; mamma faceva e disfaceva maglioni per seguire la nostra crescita e ha scelto il part time alla mia nascita, pronta a rinunciare del tutto al lavoro se il suo capo non fosse stato disponibile. Sacrifici! E anche se non so lavorare a maglia mi trovo d'accordo con mia madre quando dice: due figli sono pochi, avrei voluto averne di più... Tre, il numero perfetto.
Poi mi guardo attorno: famiglie monodose, bambini "unici" iperattivi, amiche che si giostrano tra asilo nido, scuola materna, baby-sitter, sedute di psicomotricità, serate da single (con marito e figlio a casa, per non perdere identità e amicizie), e che pur di mantenere la propria autonomia scarrozzano "il figlio" (perché a volte diventa un anonimo bagaglio), pure un po' frastornato, da un contenitore all'altro...
Anacronistica forse, antifemminista per molte. Ma il mio sogno-desiderio di famiglia numerosa rimane più che mai saldo. Quella voglia di sentir crescere un'altra vita dentro di sé, ma ancor più e soprattutto il pensare di vedere ogni giorno la quotidianità sotto una nuova luce, attraverso la lente, di certo più trasparente e autentica, di un bambino alla scoperta di tutto, che può confrontarsi non solo con gli amichetti dell'asilo, ma con fratellini e sorelline e con loro anche bisticciare, vivere le piccole gelosie, farla "in barba ai genitori" e guardare la televisione da dietro le poltrone, per non farsi vedere, dopo le fatidiche 9 di sera, coprirsi a vicenda nelle piccole marachelle...
Rimangono i problemi oggettivi ma - mi perdonino gli psicologi - ci sono ancora nonni disponibili a dare una mano ai propri figli, a viziare e coccolare i nipoti, esiste ancora quella solidarietà tra madri che si aiutano nel portare a scuola, nuoto, ginnastica e quant'altro i figli propri e degli altri, ci sono ancora molti papà che si lasciano coinvolgere dalla voglia di giocare dei propri figli e innescano gratificanti e costruttive complicità con i piccoli.
E ci sono donne che, come sono in grado di rivoluzionare la propria vita e le proprie abitudini per amore del proprio uomo, sanno trasformarsi in amorevoli madri e cogliere, in questo delicato e impegnativo compito di accompagnamento e crescita di una nuova vita, la missione e il dono che vale molto più di una "carriera" e del successo professionale. Madri e non perché così ci si completa, ma perché così si cresce, insieme. Ecco allora che uno, due o tre non fa differenza. A un patto, sono d'accordo, che il marito-compagno (e forse sta qui il vero nodo) sia altrettanto motivato e impegnato nella scelta di essere genitore, disponibile a qualche piccola rinuncia, a una pizza fuori in meno, a una macchina sola in famiglia, a una vacanza più breve, a una domenica in più con i preziosi nonni-suoceri.
Sara Melchiori «Mi cambierà la vita ma voglio tanti figli» in Avvenire del 22 luglio 2000 | |
|