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Incontro con Elsa BelottiGiobbe e le nostre sofferenze
3. LA FATICA DEL CAMBIAMENTO
Tutti modi di reagire alla sofferenza – dicevo all’inizio - ci aiutano a NON scegliere e a NON affrontare la fatica del cambiamento.
Vi racconto una storiella perché a quest’ora siete già un po’ stanchi di ascoltare.
L’Ebreo di Varsavia
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Un ebreo di Varsavia aveva sopportato di tutto. Gli era stata portata via la famiglia, aveva perso la famiglia, lui era stato portato in un campo di concentramento per diversi anni, finalmente era riuscito a tornare a casa e aveva ripreso il suo lavoro, che era il sarto. Quindi un uomo che ne aveva passate di ogni nella sua vita ed aveva tollerato tutto con una pazienza superiore a quella di Giobbe. Si potrebbe dire che veramente aveva sopportato tutto in silenzio, con pazienza.
Un giorno sta stirando un paio di pantaloni che aveva terminato di confezionare, suonano alla porta e va di là ad aprire. Si sofferma qualche minuto con la persona e quando ritorna, si accorge che aveva dimenticato il ferro da stiro sui pantaloni e si erano rovinati. A quel punto dà fuori da matto.
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Voi considerate queste cose: aveva sopportato di ogni e molto di più di un paio di pantaloni rovinati. Perché si arrabbia proprio per i pantaloni? […] Perché fintanto che tutto veniva da Dio poteva accettare, poteva sempre dire: “È Dio che me l’ha mandato!” ma nel momento in cui sono io che ho rovinato il paio di pantaloni non lo posso accettare. Quindi non è perché è l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma proprio perché in quel momento doveva accettare che dipendeva da lui quello che era successo. E questo lo facciamo un po’ tutti. Per dire come dentro di noi questa fatica di accettarci come siamo e di cambiare è infinita.
C’è una frase bella di Snoopy che dice: “Provate a dire alle persone che buona parte delle loro sofferenze può derivare da loro stessi e vi si rivolteranno contro”. Preferiamo pensare che siano sempre gli altri la causa di tutto.
Allora, Giobbe riceve tutte queste sofferenze. Non accetta le sofferenze, perché non è vero che è paziente Giobbe, perché quando la tradizione popolare [vuole portare un esempio di pazienza cita Giobbe]. Ma non è da vedere così perché Giobbe non accetta le sofferenze che riceve.
Secondo la teologia del tempo, cosa si pensava? Che se una persona era buona, brava, saggia e molto più sapiente sicuramente le cose gli sarebbero andate tutte bene. Le cose che andavano bene erano il premio alla virtù. Poi questa concezione è stata ripresa da Calvino […] ma questo è un altro discorso. Quindi se ti capita una disgrazia è perché hai commesso un peccato, […], perché sei cattivo. Questa era la teologia del tempo.
Giobbe si ribella e dice: “Non è vero perché io non ho commesso nulla di male! E allora perché c’è la sofferenza?”.
E ci sono tre amici che vanno da Giobbe e dicono: “È inutile che ti ribelli; devi accettare: se ti è capitato tutto questo è perché tu sicuramente hai fatto qualche peccato, hai commesso qualche sbaglio.” E Giobbe non accetta questa cosa qui. Però nel discorso dice delle frasi che la saggezza popolare ha fatto proprie e che sono diventate dei proverbi:
“Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò.” Quando dice: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, …”(Gb 1,21) vuol dire: se da Lui possiamo accettare il bene, perché non dovremmo accettare il male?
Oppure quando dice: “Dio fa la piaga e poi la guarisce” (Cfr Gb 5,18).
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