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Famiglia Insieme
6 Maggio 2001
Giornata di studio sulla comunicazione di coppia.

Ultime modifiche:
20.09.2001

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Cliccando sui titoli si possono raggiungere le pagine dei singoli argomenti della giornata (deregistrati a cura di Gabriella P.).



ATTI
INTRODUZIONE di
d. Stefano Ottani:
Un salmo per gli sposi

PRESENTAZIONE

RELAZIONE di
Elsa Belotti:

Premessa

Le tredici "margherite":
  1. La responsabilità condivisa
  2. Dare e ricevere
  3. Consapevolezza
  4. I genitori degli sposi
  5. Intimità
  6. Innamoramento
  7. Il vermiciattolo
  8. Ambivalenza
  9. Noi
  10. Incompatibilità di carattere?!
  11. Donne
  12. Testa e pancia
  13. Adamo ed Eva
Conclusioni

Congedo
Bibliografia


Da questa pagina:
Le tre gambe del tavolo dell'innamoramento
Parole chiave
  • amarsi
  • volersi bene
  • amore
  • benevolenza
  • attrazione fisica
  • stima (apprezzamento totale)
  • trono
  • barchetta
  • gelosia
  • indissolubilità
  • convivenza
  • pazienza
  • ricominciare

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La relazione di Elsa Belotti

6. Innamoramento.

Passo alla sesta margherita.

E’ un brutto segno dei nostri tempi, ed è anche pericoloso, che ci siano in giro tanti psicologi perché una volta c’era il saggio del villaggio, ma era saggio, gli psicologi non sono dei saggi; gli psicologi sono persone che hanno più problemi degli altri ed è per questo che decidono di fare gli psicologi, anche perché sto parlando di me.
La gente oggi va dallo psicologo per chiedere pressappoco: “Cosa devo fare, mi dia un consiglio, cosa farebbe al mio posto, lei ne saprà un po’ più di me e qual è il mio bene a questo punto?”.
La frase che uso moltissimo nel mio lavoro è questa: “Guardi che io faccio già fatica a portare avanti la mia di vita, non posso portare avanti anche la sua” e io lavoro bene se ad un certo punto la gente mi manda al diavolo perché se ha sempre bisogno di me vuol dire che lavoro molto male; se una persona sta in terapia da me dieci anni vuol dire che c’è qualcosa che non faccio, creo incertezze.
Comunque esaminiamo le richieste. “Cosa faresti al mio posto?” L’unica risposta onesta è questa: “Al tuo posto io non ci sono, non so cosa farei, perché nessuno di noi sa cosa farebbe al posto di un altro.”
“Mi dia un consiglio” io faccio già fatica a consigliare me stessa, figurarsi se posso consigliare gli altri; stiamo alla larga dalla gente che dà consigli perché non è onesta, il buon consiglio è il consiglio che non si dà, al massimo si fa un consulto con una persona che è competente.
“Qual è il mio bene?” Io faccio già fatica a capire quale è il mio di bene, non posso sapere quale è il vostro. Voglio dire che il nostro bene è scritto dentro di noi, il nostro corpo ce lo dice se stiamo facendo una scelta giusta o no e se stiamo facendo il nostro bene o no, solo che noi il nostro corpo non lo ascoltiamo, ma il nostro corpo ce le urla le cose.
Quindi bisogna ascoltare il nostro corpo per sapere quale è il nostro bene; allora a questo punto potreste dire: “Perché fai lo psicologo?”. Si va dallo psicologo in un unico caso, il caso della terza margherita che è la consapevolezza. Quando ci succed qualcosa e non sappiamo bene di che cosa si tratta, e non sappiamo rispondere a quelle due domande là - “cosa ci succede” e “perché ci succede” - allora possiamo andare dallo psicologo e cerchiamo di sceglierlo onesto, perché ce ne sono in giro anche, come in tutte le professioni, di disonesti.
Se lo psicologo è onesto, vi aiuta a rispondere alle due domande: il nome del problema e vi aiuta a battezzare il problema. La gente che viene da me mi descrive il problema che ha, se io so fare il mio mestiere devo dire: “Guardi che, sotto, il suo problema si chiama così, questo è il nome.” Prima seduta, dopo cinquanta minuti, se so fare il mio mestiere devo dire il nome del problema; è come se andassimo da un medico, ci dicesse: “Venga da me un anno poi tra un anno le dico se ha mal di fegato” ma io voglio saperlo subito: tra un anno posso essere anche morto.
Quindi se lo psicologo sa fare il suo lavoro deve dire alla prima seduta, dopo cinquanta minuti, “questo è il nome del suo problema.” E vi aiuta a rispondere anche alla seconda domanda, perché avete quel problema lì, la strada che avete fatto nella vostra vita per entrare in quel problema e lo psicologo, se le ritiene opportuno, vi può proporre una terapia, possibilmente breve, poi la fatica di vivere dobbiamo prendercela noi, non è che può prendersela lo psicologo. Vi può dare qualche indicazione, qualche strumento però poi si ferma perché oltre che cosa c’è? La vostra libertà di scelta dove nessuno deve entrare, neanche lo psicologo.
Quindi lo psicologo che dà il consiglio non è onesto, non sa fare il suo mestiere e si assume una responsabilità tremenda. Gli psicologi che sono separati consigliano a tutti di separarsi; ci sono psicologi che dicono: “Guardi signora lei vorrebbe che io la tirassi su un po’ così dopo lei si separa”. Ma lascialo decidere a lei se vuole separarsi o no. Psicologi che dicono: “Se lei vuole risolvere i problemi con suo marito, deve andare a letto con qualcun altro” Creare casini vuol dire risolvere i problemi? Questa è disonestà.

Allora lo psicologo onesto vi dà il nome al problema, vi fa capire qual è la causa del problema, vi dà qualche indicazione e poi si ferma.

Sicuramente state pensando: “Dici di non dare consigli però un bel po’ ce ne hai già dati anche tu. Allora spiego la differenza.
Dare consiglio significa, a tu per tu con una persona che conosciamo bene, dire: “Io ti consiglio di fare così” quindi anche in terapia, se poi quella persona non segue il nostro consiglio, magari ci incavoliamo anche un po’. Io sto facendo una conferenza, non vi conosco, vi sto dando delle indicazioni, non so cosa ne farete delle mie indicazioni. Stamattina state facendo un consulto con una persona più competente di voi.

A proposito del consiglio, c’è una pagina del Vangelo che tutti ricordate sicuramente, è quella del giovane ricco, (io la leggo a modo mio naturalmente); il giovane ricco va da Gesù e gli chiede: “Maestro buono, cosa devo fare per fare il bravo bambino?” E Gesù risponde: “Se vuoi fare il bravo bambino, segui i comandamenti. “ “ Ma io finora sono stato un bravo bambino, io i comandamenti li ho sempre osservati.” Ed è lì che aspetta qualcosa di nuovo, qualcosa di più forte; che doveva osservare i comandamenti lo sapeva già, cioè “se tu sei il nuovo profeta dimmi qualche cosa di più solido.” Allora Gesù aggiunge: “Se oltre a fare il bravo bambino, vuoi fare l’uomo adulto, va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Il Vangelo dice che Gesù ha guardato con amore questo giovane che poi se ne va via triste perché era molto ricco, non pensiamo sempre ai soldi; questo giovane, come tutti i giovani, è ricco di tante cose, di energie, di entusiasmo, di potenzialità. Noi critichiamo tanto la Chiesa cattolica, i preti eccetera, siamo i bambini dell’asilo che criticano sempre i papà preti.

La nostra religione cattolica è la migliore in assoluto sulla faccia della terra, anche dal punto di vista psicologico e psicanalitico. Io non ho dubbi che Gesù ha continuato a guardare con amore quel giovane anche dopo che se ne è andato via, perché Gesù non dice mai a nessuno guarda che devi fare, ti consiglio di, se non fai così vedrai cosa ti succede, assolutamente mai; al massimo Gesù dice: “Se vuoi” e basta .

C’è un personaggio importante nel Vangelo che è Pietro, una persona bellissima, generosa, istintiva, che capisce anche le cose al volo ogni tanto, ma prende di quelle cantonate, proprio come noi. “Se anche tutti ti tradiranno, io non ti tradirò mai”, dopo poche ore lo aveva tradito tre volte. Quando Gesù rincontra Pietro, noi cosa avremo detto? “Visto Pietro, io te l’avevo detto che sarebbe andata a finire così.” Gesù assolutamente niente, silenzio assoluto; quando rincontra Pietro gli fa solo una domandina, che è una domandina che ci facciamo sempre noi due, e gliela fa per tre volte: “Pietro mi vuoi bene? e basta.

C’è un altro passo del Vangelo che riassume tutti i libri di psicoterapia che abbiamo scritto; sicuramente vi ricordate anche questa pagina. C’è un paralitico da molti anni sul suo lettuccio e lo portano da Gesù perché lo guarisca; il Vangelo è pienissimo di domande più che di risposte, domande di tutti i tipi, balorde, interessanti, intelligenti; questa è la domanda più strana che c’è in tutto il Vangelo. Allora c’è il paralitico sul suo lettuccio, la gente intorno che aspetta il miracolo e Gesù fa questa domanda al paralitico: “Vuoi guarire?”, sicuramente la gente intorno avrà detto: “Ma insomma certo che vuol guarire se è ammalato da molti anni, è sottinteso.” Ma Gesù non lo dà per scontato, anche perché noi, quando aiutiamo le persone, pensiamo sempre di dover buttare addosso l’aiuto agli altri; in realtà, avessimo anche di fronte una persona che sta morendo di fame, noi dovremmo chiederle. “Vuoi il mio panino?” e rispettarla anche se ci dice di no, noi invece violentiamo quando vogliamo aiutare le persone. Sicuramente la gente intorno avrà pensato e anche detto: “Gesù è sempre stato un po’ strano, ma oggi è fuori di testa; cosa chiede a quest’uomo?” ma Gesù non lo dà per scontato che voglia guarire e poi aggiunge: “Prendi il tuo lettuccio e vai a casa tua.” Bisogna stare attenti alle virgole nel Vangelo perché noi lo sappiamo a memoria ma non lo abbiamo mai ascoltato bene. Gesù non dice: “Aspetta che ti prendo il lettuccio e ti accompagno a casa io” no, dice: “Prendi tu il tuo lettuccio e va a casa tua, cioè io ti do la parola che ti guarisce, la faticaccia falla tu” che sono i miracoli metà e metà; metà la facciamo noi e metà la fa Lui ed è bello anche questo da considerare. E questa domanda io la faccio spesso nel mio lavoro; anch’io chiedo alle persone spesso: “Lei vuol veramente guarire?.” Naturalmente la gente mi guarda ed io capisco che sta pensando: “Questa è cretina” però escono con un’altra espressione e mi dicono: “Scusi ma se sono qui da lei?”. E io dico: “Guardi che io non lo dò per scontato; se lei vuole veramente guarire, torna da me la settimana prossima e mi dice cosa ha cominciato a cambiare nella sua vita, allora ci credo che vuole guarire” cioè io ti dò gli strumenti psicologici per guarire, la faticaccia devi farla tu, non posso venire al tuo posto e farla per te, anche perché dopo alla fine il merito è tuo perché la fatica l’hai fatta tu ma il merito è tuo.

Allora a questo punto ai fidanzati dico sempre: “Visto che state facendo la scelta più importante della vostra vita, il matrimonio, o sentite dalla punta dei vostri capelli fino al mignolo del vostro piede destro che state facendo la scelta più importante della vostra vita, altrimenti io vi prego di non sposarvi.” E il "vi prego" lo urlo proprio, perché dico "vi prego" per tre volte e "vi supplico di non sposarvi". E il "vi prego" mi permetto di dirglielo per il mestiere che faccio, perché ascoltando la gente che si separa, c’è sempre un momento, dopo una mia domandina che dicono: “Sì, è vero, nel fidanzamento il nostro problema c’era già, tre mesi prima di sposarmi, avevo sentito, avevo intuito…” e io dico: “Ma perché l’hai sposato lo stesso?” “Ma io credevo, ma io pensavo.” Ecco non bisogna credere e pensare, bisogna ascoltarsi perché il nostro corpo ce lo dice se facciamo una scelta felice o no.

Devo dire cose che vedo come un segno positivo. In questi ultimi dieci giorni ho ricevuto tre persone che, a un mese dalle nozze, hanno fatto saltare il matrimonio e io ho detto: “Meno male, meglio adesso che dopo. E meno male che avete avuto il coraggio di farlo perché tanti per dar ragione alle mamme, per tutte queste menate qui non lo fanno".
Attenzione noi mamme! Se una figlia la sera prima delle nozze ci dicesse: “Mamma, non sono convinta”. Noi cosa diremmo? “Non farmi fare brutte figure, proprio adesso è impossibile. Adesso ti sposi.” E no!
Una brava mamma dice: “Ascolta, se non sei convinta, fermati subito, a me non me ne importa niente della gente; la gente parla, dopo due giorni parla d’altro. E anche se parla chi se ne importa? A me interessa che tu sia contenta. Se non sei convinta fermati subito!”
E se uno è innamorato, lo sente dentro che è innamorato; quindi bisogna sposarsi innamorati e sposarsi innamorati vuol dire che ci devono essere alcune cose.
Concludo soltanto il pensiero dicendo questo. Il sessanta per cento delle coppie che si sposano non era innamorato, confonde l’innamoramento con il volersi molto bene; sono due cose diverse.
Se io chiedo: “Sei innamorata di lui?” , di solito mi rispondono: “Gli voglio molto bene”. “Guarda che non ti ho chiesto se gli vuoi bene, ti ho chiesto se sei innamorata”.
Io voglio bene a un sacco di gente, bisogna essere innamorati.
L’innamoramento e l’amore sono la stessa cosa; io non posso amare una persona se non ne sono innamorata. E se ne sono innamorata, certamente l’amo.
Le persone dicono: “I primi anni eravamo innamorati, adesso è rimasto l’affetto”. L’innamoramento non viene mai meno, neanche dopo trent’anni di matrimonio. È la coppia che dice: “Siamo più innamorati oggi di quando ci siamo sposati.”
Per amore di realtà aggiungo: una coppia può andare avanti bene tutta la vita con grande affetto, senza essere innamorata, però sono due cose diverse. Io devo dare il nome giusto alle cose.

Quand’è che possiamo dire di essere innamorati?
Quando ci sono tre gambe in un tavolo, è chiaro che se ne manca una il tavolo cade quindi ci devono essere tutte tre, non solo devono essere tutte tre molto solide; ai fidanzati dico sempre: “Se anche una sola traballa, non sposatevi”.
  • La prima gamba è una FORTE ATTRAZIONE FISICA. Capita a tutti in un matrimonio di provare simpatie o emozioni per qualcun altro, questo è normale; al marito bisogna dire tutto e quando dico tutto, intendo dire tutto, anche le sciocchezze, tranne questa cosa qua, questa è l’eccezione. Al coniuge non si dice questa cosa perché dopo tre mesi può essere passata a me, a mio marito il pugno nello stomaco difficilmente passa e quindi se sono abbastanza matura devo essere in grado di gestirmi da sola questa cosa senza disturbare mio marito e la mia coppia, anche perché di solito lo si dice al coniuge per liberarsi; devi essere abbastanza maturo da gestirti tu a meno che non abbia l’intenzione di buttare all’aria il matrimonio, allora lo posso anche dire; in tutti gli altri casi no. Attenzione attrazione fisica non vuol dire che mi piaccia tutto dai capelli ai piedi; ci possono essere delle parti del corpo dell’altro che non mi piacciono, ma ci sono quei due o tre elementi che mi fanno piacere quel corpo più di qualsiasi altro. Nella attrazione fisica entrano anche lo sguardo, il sorriso, la mimica facciale, il modo di parlare, di gesticolare, di camminare, la personalità, il fascino. Il fascino non ha niente a che vedere con la bellezza, secondo i canoni estetici televisivi: ci possono essere della donne molto belle che sono dei baccalà e ci sono delle donne bruttine che hanno un fascino splendido, quindi bellezza e fascino sono due cose diverse, altrimenti si sposerebbero solo i belli; per fortuna mia e anche vostra ci sposiamo tutti quindi…. Quando un fidanzato o un marito continua a rompere le scatole: “Dovresti truccarti un po’ meglio, dovresti vestirti in maniera diversa, dovresti dimagrire eccetera, vuol dire che non è innamorato; la persona innamorata parla in un altro modo: “Se dimagrisci qualche chilo stai meglio anche tu, però a me piaci lo stesso”, questo è essere innamorati. Quando anche in consultorio appunto un marito dice: “Ma io vorrei che lei facesse queste cose”, vuol dire che non è molto innamorato. Poi tra i fidanzati dico sempre: “Se il moroso guarda le altre qualche volta per la strada è normale, se le guarda con insistenza, non sposatelo perché non è convinto."
  • Seconda gamba del tavolo è LA STIMA. Noi possiamo stimare tante persone e non amarle, ma se amiamo una persona la stimiamo più di qualsiasi altra persona al mondo. Stima vuol dire non vedo l’ora di arrivare a casa stasera per raccontare le cose a mio marito e quindi di sentire anche il suo parere su questa situazione perché so che lui mi farà vedere degli aspetti che io non ho pensato. Stima vuol dire mettere l’altro sul trono e sul trono ci sta una sola persona, un solo re, una sola regina. Qui il test da fare è questo qui: mettete a confronto il moroso, il marito, papà, moglie, madre ecc., chi è che stimate di più e che risulta vincente? Dovremo rispondere subito mio marito, mia moglie, altrimenti manca la stima.
      Faccio un paio di esempi.
    • Ad una signora chiedo: “Mi parli del suo papà”. E lei mi dice: “Mio papà era una persona molto in gamba”. Dico: “Vedo che stimava molto il suo papà”. E lei mi dice: “Mio papà era una persona eccezionale” e lo dice proprio illuminandosi. Allora io dico: “ Ma suo marito dove sta? Perché se sul trono c’è ancora il papà che è così bravo, come fa il marito a salire sul trono? non potrà mai salirci”. Infatti hanno anche dei problemi a letto. Naturalmente questo non significa non stimare più i genitori, noi possiamo stimare molto i genitori ma sentiamo che la persona che abbiamo sposato ci lascia la possibilità di affidarci completamente.
    • Un altro caso è questo. Una ragazza è sposata da quattro, cinque mesi e anche a lei chiedo: “Metti al confronto il marito col papà, chi è che risulta vincente?”. Lei risponde: “Ma io non lo so, sono due cose diverse, come faccio a rispondere?”. E così non rispondendo mi ha già risposto. Allora riprendo: “Ascolta, non contartela tanto su. Hai sulla barchetta il marito e il papà, chi salvi?”. Purtroppo non mi ha saputo rispondere: bisogna rispondere subito "il marito". Il papà si arrangerà. Se è sulla barchetta, devo salvare mio marito. Questa è la stima.
      A proposito della stima, la gelosia. La gelosia è un test velocissimo di non innamoramento. La persona gelosa non è innamorata; sto parlando della gelosia di chi tormenta, controlla, vuol saper tutto, perché se io voglio controllare tutto, non ho fiducia di te, non ho stima di te quindi non ti amo.
    Quando in una coppia si comincia a dirsi le parolacce, sicuramente è venuto meno qualche cosa; possiamo dirci stupido qualche volta affettuosamente oppure ce lo diciamo arrabbiati quella volta all’anno che facciamo un litigio solido ma se anche davanti a me uno mi dice: “Non vede che moglie imbecille che è, dottoressa”, allora non c’è più la stima, non c’è più niente.
  • La terza gamba del tavolo è il “PER SEMPRE”.
    Se siamo davvero innamorati noi pensiamo di stare insieme novant’anni, non possiamo immaginare che il rapporto finisca.
    Quindi quando coppie di fidanzati dicono: “Adesso andiamo a convivere un po’ per verificarci” non è possibile perché chi è innamorato lo sente dentro, non ha bisogno di convivere per verificarlo. E se abbiamo bisogno di qualcosa per convincerci vuol dire che non siamo convinti sennò lo saremmo già e la maggior parte delle convivenze sapete che va a finir male.
    Oppure anche quando alcuni uomini dicono: “Ma io a lei ho proposto la convivenza perché tanto il matrimonio che cos’è, un pezzo di carta, cosa c’entrano i preti? Basta volersi bene e tocca il nostro amore, una cosa nostra privata.”
    Il nostro amore non è una cosa privata, è una cosa pubblica, è ufficiale, anche con degli aspetti privati.
    Ecco questi ragionamenti sono ragionamenti da quindicenni. La persona matura dice: “Io ti sposo”, la persona innamorata si sposa; se propone la convivenza, vuol dire che non è convinto e infatti la convivenza è una proposta da adolescenti.

    Noi diciamo che la Chiesa ci butta addosso dei pesi, la fedeltà, l’indissolubilità; la Chiesa non ci butta addosso niente, siamo noi che parliamo così. “Mi amerai per sempre? Io ti amerò per sempre”, siamo noi che diciamo per sempre, allora la Chiesa dice: “Io raccolgo il vostro per sempre e ve lo ridò illuminato da una luce nuova che è la grazia del sacramento”. E chi si sposa in chiesa ha un problema in meno; io e te litigheremo su tutto, metteremo in discussione anche l’universo, tranne questa cosa qui: che io e te staremo insieme tutta la vita. Per gli altri può valere la domanda: “Questo litigio è sufficiente per una separazione o no?”, noi questo problema non ce l’avremo.
  • Allora una forte attrazione fisica, la stima (il re sul trono), il “per sempre”; queste sono le tre gambe.
    Per fare il tavolo ci vuole il ripiano sopra. E sul ripiano c’è scritto: “L’INFINITA PAZIENZA DEL RICOMINCIARE”. Infinita non vuol dire un po’, non vuol dire tanta. Infinita, lo dice la parola, significa senza fine. L’infinita pazienza del ricominciare: chi è veramente innamorato ricomincia sempre da capo. Per tre giorni strozzerei mio marito ma il quarto giorno mi vien voglia di ricominciare con lo stesso entusiasmo.
    Questo è essere innamorati.


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Pagina pubblicata il 24 giugno 2001